Una certa vulgata concettualmente rozza e metodologicamente superficiale sostiene che l’unico modo per valutare la qualità dei servizi sia quello di “misurare” la soddisfazione degli utenti. Un’operazione utile ma certamente non sufficiente; a volte dannosa se viene usata a scopo di propaganda politica.
Il post di Claudi Bezzi sulla valutazione spontanea o implicita offre l’occasione per argomentare sul ruolo degli “utenti” dei servizi nei processi di valutazione e in particolare sul legame tra misurazione della cosiddetta customer satisfaction e valutazione. Effettivamente, in tempi di demagogia populista, l’idea che i cittadini sappiano valutare i servizi è ampiamente diffusa e cavalcata, ovviamente finché può essere usate per sostenere posizioni preconcette e di parte. Comunque sia, dal punto di vista metodologico e in una prospettiva etica, la questione è assai interessante e merita qualche approfondimento.
i) Quando si parla di utenti o clienti di un servizio (solo per comodità uso qui i termini come sinonimi) si pensa, spesso ed a torto, ad una massa indifferenziata ed amorfa: non è così come insegna l’esperienza personale (siamo tutti utenti), come prova il marketing e come insegna la buona sociologia. Ci sono utenti ignari, utenti informati, utenti competenti, utenti che hanno avuto esperienze particolari con il servizio e, a volte, addirittura amateur o cultori della materia con un grado di capacità raffinato rispetto all’oggetto potenzialmente “da valutare”. Nulla vieta che alcuni di questi possano essere ritenuti in qualche modo “testimoni privilegiati”, soggetti in grado di fornire un contributo particolarmente potente al miglioramento dei prodotti e dei servizi.
ii) Nel caso dei servizi il “cliente” partecipa, per definizione stessa di servizio, alla sua produzione; in ultima istanza è un “portatore di interesse”, un attore in gioco che determina attraverso i suoi comportamenti, non solo la qualità del servizio del quale fruisce personalmente, ma, in molti casi, anche la qualità della fruizione degli altri utenti. Questo significa che le modalità di partecipazione degli utenti devono essere disegnate, organizzate e gestite con la stessa cura con cui viene costruito il possibile protocollo di valutazione.
iii) Gli utenti, dal punto di vista valutativo, non sono terzi ed indipendenti, non hanno un metodo, non hanno (solitamente) informazioni e conoscenze adeguate, non hanno un mandato e sono spesso vittime del preconcetto e del pregiudizio. Ma hanno dei diritti e dei doveri, e, poiché partecipano ed hanno una esperienza concreta del servizio, su questo possono comunque dire qualcosa. Questo “saper dire qualcosa” non è valutare in senso stretto, se non da un punto di vista strettamente soggettivo e personale: è piuttosto fornire informazioni in qualità di testimone o di “informante”; ciò che per ognuno di essi può essere percepito come atto di valutazione, per l’organizzazione è semplicemente possibilità di raccogliere informazione utile.
iv) La qualità di queste informazioni dipende ampiamente dalla competenza di chi disegna l’indagine, sceglie gli strumenti e pone le domande, purché, ovviamente, ci sia da parte del “rispondente” buona fede e la capacità di rispondere in modo attendibile. In una buona indagine, e qui sta la differenza, il cliente non è chiamato a “valutare” il servizio ma a produrre informazioni adeguate e pertinenti su alcuni aspetti di esso, ai quali ha –per così dire- accesso immediato; questi devono essere tenuti separati rispetto al piano delle opinioni che pure possono essere raccolte e rivelarsi utili.
v) Chi svolge una genuina funzione valutativa è invece “l’analista” (ovvero chi svolge la funzione di valutatore) che, in base al disegno adottato, elabora ed interpreta i dati ed in base a questi individua, suggerisce (ed eventualmente implementa) strategie di miglioramento: consiglia ad esempio di intervenire sugli utenti per migliorare la loro comprensione circa il buon uso del servizio; collega le informazioni ai processi di lavoro (workflow) che hanno generato soddisfazione o insoddisfazione proponendo i dovuti cambiamenti; suggerisce modifiche nelle modalità di produzione o erogazione del servizio, consiglia modalità di comunicazione differenti.
E’ esattamente su questi presupposti che si fonda, penso, l’uso valutativo della customer satisfaction con il relativo armamentario di modelli, tecniche e strumenti che consentono l\’ascolto e la gestione del cliente. Per questo le informazioni prodotte possono essere usate come una variabile imprescindibile nei processi di valutazione della “qualità del servizio”; sotto queste condizioni si può affermare che un dato relativo alla “soddisfazione percepita” possa dire qualcosa di importante rispetto all’organizzazione e a quello che sta facendo.