In un contesto sociale sempre più urbanizzato e sempre più mobile sembra essersi modificato radicalmente il legame delle persone con i luoghi e delle comunità con i territori che abitano; da un lato come ha notato Marshall McLuhan più aumenta la mobilità e, in particolare, la velocità della mobilità, più viene distrutta la possibilità della comunità”; dall’altro gli spazi sono sempre più privatizzati e ridotto a merce, trasformati in mero panorama in alcuni casi, spesso de-classificati a contenitori di beni e di oggetti, ridotti a supporti per il traffico di merci ed informazioni o, peggio ancora, deprezzati e ridotti a discariche per le esternalità della produzione e del consumo. Malgrado questo non possiamo che vivere in un ambiente senza mai dimenticare che la qualità della nostra vita dipende ampiamente dalla qualità dell’ecosistema in cui viviamo.
L’uomo del futuro che abbiamo imparato a conoscere attraverso l’immaginario cinematografico scaturito dagli incubi visionari di Philip K.Dick rimane un monito e allo stesso tempo una sinistra possibilità. Oggi comunque nessuno può vivere nei circuiti digitali dove viaggia il capitale globale e dove scorrono le informazioni; nessuno può ancora vivere bene nei circuiti della logistica planetaria dove circolano le merci stipate nei container non meno delle persone inscatolate nei charter; non possiamo vivere a lungo e in salute in non luoghi e negli ambienti degradati; per fortuna gran parte di noi vive ancora in uno spazio fisico, in un territorio, in un posto che si può riconoscere come “casa”.
Malgrado si viva sommersi da prodotti materiali e servizi c’è ancora chi resta convinto che la qualità della vita e la salute dipendano anche dalla possibilità di respirare aria pulita, bere acqua pura, godere di buoni paesaggi, mangiare cibi naturali e salubri, coltivare buone relazioni personali, vivere in spazi a misura d’uomo, disporre di tempo libero, conoscere gli altri e conoscere se stessi. Il sistema socio-economico in cui viviamo non nega affatto queste possibilità: lo fa però attraverso la trasformazione dei bisogni in merci e servizi, attraverso il mercato, la privatizzazione e, in ultima istanza (e purtroppo) attraverso la distruzione dell’ambiente, delle culture, dei beni comuni e collettivi.
Emerge con tutta evidenza la miopia di un discorso collettivo tutto centrato sul PIL, sulla crescita, sul teatrino della politica totalmente succube dei poteri forti della finanza, dove la democrazia diventa una rappresentazione rituale e stereotipata, dove la sostenibilità viene ridotta a semplice argomentazione, quasi sempre priva di applicazioni concrete. A fronte di questo c’è l’opportunità per ogni cittadino di cambiare rotta, di uscire dalle conversazioni politicamente corrette, di guardarsi attorno, di pensare e di proporre qualcosa lavorando su ciò che è vicino e di cui ci si può prendere cura direttamente.
Cosa chiedere dunque, cosa suggerire? Cosa serve per costruire qualcosa di meglio a partire dal basso, dal territorio e dalle comunità? In che modo dare senso e contenuto alla massima “pensare globalmente agire localmente”?
- 1. Servono spazi ben organizzati dal punto di vista urbanistico, nei quali poter vivere a misura delle fragilità umane partendo dal presupposto che i bisogni essenziali delle persone vengono prima di quelli riconducibili alle merci; un territorio organizzato in modo tale che le fasce più deboli della popolazione, anziani, bambini, diversamente abili e ammalati, possano esercitare l’elementare diritto alla cittadinanza, alla mobilità pedonale, al gioco e alla sicurezza e, in tal modo, possano vivere la propria naturale socialità indipendentemente dall’esistenza di prodotti e servizi a pagamento. Il territorio non può essere regolato dalla logica della speculazione e della corruzione che rappresenta fin troppo spesso il volto visibile del mercato.
- 2. Servono luoghi di vita nei quali poter praticare e sviluppare la nostra capacità di contemplazione estetica. Luoghi che valorizzino il patrimonio ambientale e culturale, dove si presti grande cura alla qualità urbanistica ed architettonica, alla qualità dell’aria che si respira e dell’acqua che si beve. Non è più sostenibile la vita in territori abbruttiti dai quali si evade di tanto in tanto per godere a pagamento di spazi dedicati ad un benessere momentaneo.
- 3. Servono infrastrutture tecnologiche intelligenti, piattaforme diffuse che favoriscano l’apprendimento, che generino capacità, che diminuiscano gli sprechi e che non esproprino le persone dei loro talenti per sostituirli sempre con merci e servizi a pagamento. Le tecnologie abilitanti che si presentano in forma di reti ed autostrade digitali, sistemi di controllo intelligenti, sistemi di coproduzione energetica e quant’altro, rappresentano un modo per attivare il protagonismo e la responsabilità delle persone e un mezzo per rendere le comunità maggiormente protagoniste del proprio destino.
- 4. Serve un modo nuovo di guardare ai bisogni delle persone, capace di separare ciò che è essenziale in termini di promozione della libertà e delle capacità personali e dei gruppi da ciò che è indotto dalla coazione al consumo. Il bisogno è sia una carenza che una motivazione, una spinta all’azione: non è più sostenibile che il bisogno venga esclusivamente ridotto ad una funzione della produzione mentre questa dipende dai giochi di una finanza completamente sganciata dalla realtà della vita delle persone. Non è bene che i bisogni vengano definiti in via esclusiva da una casta di professionisti il cui unico scopo è salvaguardare ed ampliare la propria sfera di influenza con i relativi benefici economici.
- 5. Serve una conoscenza reale e diffusa del territorio, della cultura e dell’ambiente in cui si vive; spesso è qui infatti che sono presenti straordinari saperi, conoscenze e competenze che non possono essere ridotte al mero folklore o relegate al campo dell’obsoleto; esse costituiscono di per sé potenziali micro agenzie formative non formali che si collocano al di fuori dei circuiti (scolastici) ufficiali. In Italia la ricchezza di questo patrimonio è straordinaria: si tratta di importanti dimensioni di senso che possono acquisire una rilevante dimensione anche economica se si esce dagli stereotipi dei mercati di massa e si osservano con cura le opportunità dei mercati di nicchia. Queste agenzie non formali di apprendimento vanno riscoperte a valorizzate in modi innovativi che vadano oltre la logica del nobile e antico imparare a bottega.
- 6. Bisogna riconoscere e valorizzare, accanto all’economia formale, l‘economia informale, conviviale e familiare, che comunica e produce senso attraverso lo scambio di beni e servizi non contabilizzati. È il recupero dell’economia del dono, dell’informalità, della socievolezza che può dare più valore alla vita sociale senza nulla togliere all’importanza dell’economia ufficiale.
- 7. Serve una consapevolezza diffusa circa i danni alla salute che sono causati da uno stile di vita dissipativo, dall’alimentazione insalubre spinta dalla corsa al profitto, dal vivere in ambienti inquinati, pensati per le merci e non per gli uomini che, ridotti a consumatori, quelle dovrebbero semplicemente produrre e consumare. Le evidenze sono chiarissime pubblicamente dichiarate dalle agenzie sanitarie ma sempre disattese alla prova dei fatti.
- 8. Servono nuove storie, nuove narrazioni e nuovi miti capaci di sostenere un cambiamento di enorme portata che ci investe nel profondo. Bisogna infatti riconoscere che sono le strutture narrative ben più dei numeri e delle statistiche che ci consentono di comprendere il mondo come ben sanno tutti i manipolatori della pubblica opinione, i professionisti dei media e i pubblicitari.
- 9. Soprattutto servono persone capaci di motivare ed entusiasmare, di portare modi alternativi di vedere le cose dentro processi decisionali che sono attualmente abbandonati agli interessi della speculazione ed ai meccanismi apparentemente impersonali della burocrazia e della finanza.
Su tutte queste tematiche esiste un ampio dibattito che fatica però a tradursi in pratica; da un lato la comunicazione è soffocata e traviata dalla retorica mainstream; dall’altro troppi attori interessati si sono impadroniti della forma ma non della sostanza di queste argomentazioni: capitale sociale, resilienza, crescita sostenibile, sviluppo di comunità, innovazione sociale, programmazione partecipata, integrazione di politiche locali, governance locale sono le etichette che ad ondate successive si abbattono sui territori, solitamente senza alcuna consapevolezza dei fini e dei valori che veicolano e dei vincoli che pongono se correttamente applicate; purtroppo basta girare ed osservare lo scempio degli ultimi 20 anni per capire come all’aumentare della retorica della sostenibilità sia aumentato anche e in misura decisamente maggiore il danno prodotto.
Impossibile uscirne?
NO, se appena si riconosce l’impotenza di un pensiero basato sull’unico feticcio della crescita ad ogni costo e sull’idolatria del mercato e del profitto per il profitto;
NO, se si sanno cogliere e valorizzare i semi di cambiamento che già esistono, assumendo consapevolmente un ruolo di cittadini più attivi attenti a quello che abbiamo intorno e vicino.
Intanto, facciamo un sforzo per uscire dai miti dissipativi ed iniziamo ad inventare, costruire e raccontare storie buone e diverse.
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Si può fare,
Passaparola!
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12 Responses to “Un bel posto dove vivere. 9 suggerimenti per costruire piccoli mondi a misura d’uomo.”
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- Un bel posto dove vivere. 9 suggerimenti per costruire piccoli mondi a misura d’uomo. - La RETE 2018La RETE 2018 - […] fonte: www.valut-azione.net/ In un contesto sociale sempre più urbanizzato e sempre più mobile sembra essersi modificato radicalmente il legame…
QUANTUM CITY : Nella Citta intelligente e ecologica del futuro e necessario sviluppare un nuovo modo di vedere la abitabilita della casa non piu’ ome una tipologia di merce nell’ ambito della finanza della edilizia, ma come un bene che permette di cambiare lo stile di vita di studio e di lavoro nonche’ della soddisfazione estetica e della felicita. il futuro Green dovra essere caratterizzato da una nette diminuzione della mobilita relativa al lavoro prodotta dal favorire il telelavoro e dello studio a distanza tramite la piu ampia utilizzazione di piattaforme in rete. Una azione che consapevolmente conduca a tale cambiamento della vita sociale del lavoro e dello studio e di aggiornamento permanente delle professioni, dovra essere preceduta da un cambiamento culturale e scientifico-tecnologico nell’ ambito del quale la casa non assume piu’ il valore di un elemento del mercato, ma di una piu ampia consapevolezza di costruire un ambiente la dove la abitabilita’ diventa funzione del benessere e della salute dell’ uomo e della donna in un contesto strategico di resposabilita’ sociale ed economica di tipo GREEN .La casa del futuro dovra’ essere collocata in un ambiente umano altamente intelligente (Smart City) privo di sprechi di Energia pulita, di Materia e risorse naturali e di inutile crescita di informazione reclamistica ( vedi: Green Marketing) la quale condiziona le menti a ricercare futile appagamento nei consumi . Infine sara necessaria una formazione ed aggiornamento scientifico/ culturale “Bio-quantico”, orientato a rivalutare le condizioni di benessere e della salute derivanti dall’ abitare in ambienti dove sia possibile condividere un disegno innovativo del bene comune e della felicita. Paolo Manzelli 8335/6760004)
Rimboccarci le maniche e provare ad agire in modo CONSAPEVOLE partendo dal posto che occupiamo nel mondo, partendo dal piccolo. Penso che sia sempre più necessario imparare a pensare in modo diverso e costruttivo, a vedere ciò che non viene mostrato, soprattutto a porre e a porsi domande politicamente scorrette ma sociologicamente ben fondate. Anche a costo di amare delusioni perché la posta in gioco è molto alta, almeno per chi ama la libertà e l’ambiente in cui vive.
ovviamente condivido appieno quanto scritto in modo pregevole nell’articolo, aggiungerei una questione che viene spesso dimenticata ma che è, a mio parere, alla base dei problemi che stiamo quotidianamente affrontando. Non esistono solamente i non luoghi ove vivere, esistono i “non modi” e soprattutto i “non lavori”. Viviamo nel secolo della terziarizzazione e dei servizi ma talmente avanzati che non sappiamo più distinguere ciò che è inutile e ciò che è utile. Viviamo nel secolo del lavoro spesso inutile , proprio per questo, quasi sempre pagato megio dei lavori “basilari” ma utili. Corriamo per cose che non hanno alcun senso e alcun effettivo vantaggio per nessuno, prendiamo ad esempio il mondo della finanza o dell’informazione. Infinite voci che si affannano ad essere repliche ed altoparlanti, caccia allo scoop spesso creato e falso, notizie inutili e svianti, il povero cittadino è sopraffatto da miliardi di informazioni tra le quali deve perdere tempo a capire, e non semrpe ci riesce, quelle che davvero servono. Mi sono spesso chiesta, scrivendo, se ciò che stavo dicendo in quel momento poteva essere rilevante davvero, se poi era così necessario che quell’articolo uscisse il giorno dopo o potesse uscire ugualmente tre giorni dopo non cambiando assolutamnente nulla. La finanza è diventata più importante dell’economia reale contribuendo alla sua creazione e distruzione, as econda dei tempi e dei luoghi ove si muovono i capitali e tutto ciò indipendendtemente dal volere dei popoli che soggiacciono a poteri a loro per lo più sconosciuti. Non abbiamo più la possibilità di decidere di noi stessi, sembra che un fato ineluttabile, dettato dall’alto, stia guidando i destini mondiali e questo si riflette sulle nuove generazioni, spesso prive della voglia di fare e di progettare, essendo già stato annullato in loro il “senso della possibilità”, così imnportante per lo sviluppo della persona umana. risultato: aumentano i NEET, una sigla per definire chi si è rassegnato e decide di non studiare nè lavorare. Insomma, dobbiamo restituire un senso a questa vita se questa un senso lo ha. Buon anno e grazie
Ciao Bruno,
come non condividere le cose che scrivi !?
Aggiungo che dovremmo chiudere alcuni anni di “analisi” e passare alla “sintesi”: in altre parole, rimboccarci le maniche ed entrare in azione: questo è un punto in cui ci fermiamo tutti, nonostante la tracotante consapevolezza che stiamo andando verso una direzione distruttiva.
Buon Anno,
Bruno
Caro Bruno, come sempre mi colpisci con la tua originalità e la tua chiarezza. Grazie . Diffonderò l’articolo, nella speranza di contribuire a diffondere la voglia di riflettere sulla nostra complessa realtà individuando soluzioni o pratiche di miglioramento della qualità della nostra vita. Auguri e a presto! Barbara
Come voi mi piace pensare che bisogna coltivare la speranza, pensare bene ed agire meglio; iniziare il viaggio (Orazio), ripartire dalle persone e dall’educazione autentica (Giuseppe), poter raccontare storie ben fatte (Luciano). Poi come diceva Nelson Mandela di fronte alle difficoltà: “sembra sempre impossibile finchè non viene realizzato”. Grazie a tutti!
Caro Bruno non posso che aggiungermi ai molti che condividono il tuo scritto. Ben detto quindi!
Quando, declinando realmente e concretamente quanto ai tuoi punti 8 e 9 potremo dire anche ben fatto!? Ciò che rattrista è il fatto che dipende dagli uomini – intesi come umanità – e dalla loro capacità/volontà di comprendere il significato più vero dello “stare bene”. Ma forse in questo risiede anche la speranza.
Ciao ed a presto
Caro Bruno,
sono poco originale, me ne rendo conto, dicendo che anch’io condivido pienamente la tua riflessione.
Credo che per passare dall’esaltazione sterile della “forma” alla valorizzazione della “sostanza” – rispetto alle tematiche che hai evidenziato – sia proprio necessario ripartire dalle persone, dall’educazione autentica, mettendo in evidenza la dimensione relazionale, cioè l’identità dinamica della persona in relazione con l’altro da sé (persona, comunità, natura…) : è infatti la frantumazione relazionale a distruggere la qualità autentica del vivere e dell’abitare. Ho curato qualche tempo fa un volume (“Una città ben fatta”) che tocca anche queste tematiche, dal p.d.v educativo. Grazie!! un cordiale saluto
Caro Bruno
condivido tutto.
Sottolineo in particolare il punto 9 che ci coinvolge come persone e che ci può in buona misura consentire di modificare anche i punti precedenti.
Tante piccole gocce formano un mare.
E’ tempo per ognuno di noi io per primo di cambiare e con il mio esempio spingere tanti altri a fare lo stesso.
E’ il momento di iniziare il viaggio ;-)))
Orazio
In tempi in cui troppi parlano di cambiamento possiamo vedere cambiamento genuino solo quando chi prova a PENSARE su questo tema è ben allineato con CHI FA, con chi sviluppa davvero INNOVAZIONE SOCIALE https://www.valut-azione.net/saperi/innovazione-sociale/. Enrico ha costruito Jungo http://www.jungo.it la risposta facile alla mobilità che consente di navigare sulle correnti naturali del traffico. Gianfranco è l’anima della condotta Slow Food Feltrino e Primiero http://feltrinoeprimiero.wordpress.com/category/attivita-associative/ che con un gruppo di infaticabili volontari ha costruito il presidio del botro in Valle di Primiero. http://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/3453/botìro-di-primiero-di-malga-
Questo è il cambiamento cha va conosciuto, diffuso, valorizzato e sostenuto. E, per fortuna, in italia ci sono tantissimi casi…
Bruno
il tuo decalogo (come si dice un decalogo di 9 punti? boh!) è sottoscrivibile in tutto e per tutto.
È una di quelle cose di cui pensi: “mi ha tolto la parola di bocca”.
Me lo terrò ben in vista per questo 2014.
Grazie, gianco
complimenti a Bruno un testo molto interessante ritengo che farò passaparola Enrico gorini