La pratica della valutazione è, innanzitutto, un modo di pensare. Un buon modo di pensare che obbliga a riflettere su ciò che troppo spesso si da per scontato, che si ritiene giusto o sbagliato a priori. Ma la valutazione è anche una pratica sociale fatta da persone che hanno desideri ed aspettative, obiettivi e paure, limiti e vincoli di varia natura. Vi è sempre nel fare valutazione una dupplice realtà: quella pubblica che mostra la recita più o meno valida e riuscita di professionisti e quella riservata (un back stage) dove questa recita viene preparata, sostenuta e infine commentata; un aparte pubblica che si manifesta nella redazione della comunicazione ufficiale del rapporto di valutazione e una parte privata fatte dei mille scambi informali più o meno riservati che caratterizzano la vita quotidiana. Ogni valutazione è potenzialmente una storia da raccontare e chiunque si occupi di valutazione ne ha molte di storie da raccontare. Ecco una testimonianza…
Senza troppo riflettere, si potrebbe scrivere che la valutazione come pratica di ricerca sociale applicata e come espressione di giudizio su un intervento, non faccia proprio “venir da ridere”.
E’ un ambito di lavoro serissimo, dove si decidono i destini di finanziamenti che finiscono da una parte invece che dall’altra, di progetti che partono oppure vengono stoppati, di iniziative che possono essere replicate oppure no, di politiche che assumono certi connotati invece di altri.
Alla luce di molti anni di lavoro in questo settore, posso dire che è davvero così. Nella stragrande maggioranza dei casi, parliamo di valutazione riferendoci ad una attività che ha tra le sue caratteristiche una decisa premessa di serietà.
Ma come in tutte le attività umane, anche in questo ambito ci sono dei limiti e si verificano degli accidenti che possono far sorridere. Questo fondamentalmente per tre ordini di motivi:
– La pratica valutativa in sé fa emergere “buffe vicende”;
– Le attività di tale pratica che verificano il raggiungimento dei risultati mettono in evidenza degli outcome attesi e degli altri “incidentali” e sorprendentemente efficaci, che possono far sorridere.
– Infine le pratica valutativa viene agita da ricercatori che prima di scienziati sociali sono persone e, in quanto tali, possono inciampare in accadimenti divertenti, anche dal punto di vista professionale.
Non sottovaluterei questa nostra capacità e possibilità di sorprenderci e di sorridere (in quanto persone e ricercatori viventi). Lo stupore può essere una emozione fortemente positiva che apre le porte a nuovi orizzonti, a nuovi modi di inquadrare un problema, a nuova energia e quindi a nuove iniziative prime cognitive e poi esperienziali e applicative. Anche avere dei ricordi divertenti da condividere in un team rinsalda dei legami e rende il lavoro, non solo una attività di routine, ma un contesto di vita in cui vale la pena esserci.
E così … (spostiamoci con l’immaginazione):
1- Ci troviamo in una riunione di funzionari pubblici. Tutti molto seri. Ben vestiti, con cartella, agenda, occhiali, penna, fascicoli vari. Uno alla volta si alzano per tenere una relazione su un tema scottante oggetto dell’incontro e necessario al proseguo dei lavori. Si sta cominciando a costruire il profilo di qualità di un nuovo servizio (sperimentale) che poi verrà sgrezzato e “pesato” grazie alla tecnica dell’NGT informatizzato. Tutti gli stakeholder presenti hanno seri interessi ad esserci e a sostenere il proprio parere, anche in vista di portarsi a casa nuovi o più ricchi finanziamenti. Giacche appese alle sedie, maniche di camicie rimboccate … la discussione procede serrata. Si usa anche un microfono, un po’ per assecondare la voglia di protagonismo insita in molti di noi, un po’ per essere comunque certi che tutti sentano tutto, o comunque il più possibile. Una funzionaria si alza, prende il microfono e comincia a parlare ma … aimè dall’orlo dei suoi pantaloni di seta gialla si vede spuntare dalla gamba destra, un calzino di cotone. Dalla estremità dei pantaloni esce una sorta di triangolo di spugna bianco che attira l’attenzione in maniera irriverente. La relatrice prosegue imperterrita, cammina avanti e indietro e a un certo punto … il calzino esce svergognato dal pantalone e si deposita in bella vista sul pavimento scuro. Come una colomba inerme, appare accasciato a terra, mentre gli sguardi dei presenti cambiano direzione. Il senso del discorso che incalza va scemando e dopo qualche minuto di mutismo e sospensione del normale ritmo del respiro, scoppia una risata collettiva che ha tutte le premesse per essere duratura e acquisire in fretta lo status stupefacente del ricordo doc. Una risata causata da una calza fuoriuscita dai pantaloni ha sconvolto l’aula, le persone, le parole. Anche le sorsate d’acqua sono scese in gola come fuochi ardenti. Uno stop inatteso e quindi esilarante. Che dire? Che fare? Nulla, nulla, che problema c’è? … Se ci penso mi viene ancora da ridere, giuro. Il lavoro ha poi ripreso il sul giusto binario e ha dato buoni frutti (la creatività era stata stimolata sia attraverso vie usuali, sia bizzarre). Ma cosa, a distanza di molti anni, accomuna ancora chi era presente quel giorno? Il ricordo di quel calzino incastrato in un paio di pantaloni e decisosi a fare capolino in un momento davvero inusuale.
2 –C’è stata un periodo della mia vita professionale in cui ho lavorato molto, girando l’Italia e gestendo gruppi di lavoro alquanto dissimili, ma accumunati dalla stessa necessità di portare a termine attività valutative di alto livello. Un anno di questi, mi sono trovata a gestire due gruppi di lavoro a Bologna, uno che si occupava di servizi per le Tossicodipendenze, uno di Asili Nido. Roba serissima, appunto. Un giovedì dovevo andare a Bologna per lavorare con uno di questi gruppi. Ho passato tutto il martedì e anche il mercoledì a rileggere i materiali della volta precedente e a prepararne di nuovi: facendo slide, stampe a lucido e raccogliendo in ufficio tutto ciò che mi serviva: lavagna luminosa, registratore, proiettore, fogli, pennarelli, etc. . Il giovedì mattina dovevo partire per Bologna. Mi alzo prestissimo, raccolgo tutti i miei fogli e ricontrollo l’agenda degli appuntamenti … e cosa scopro? Che ho invertito i gruppi! Ho preparato tutti i materiali per il lavoro con gli esperi di Asili nido ma da lì a due ore mi troverò davanti esperti di Ser.D che di Nidi non sanno assolutamente nulla, e manco ne vogliono sapere. Aiuto! Che fare? Respirare, respirare a ritmo regolare, cercare di mantenere la pressione normale, bere un bicchiere d’acqua, mangiare una caramella, … . Mi sono seduta ferma come una statua con il cervello preso da un vortice di pensieri arruffati da districare e una certa rabbia verso me stesse per aver sbagliato a quel modo. Poi sono partita comunque, sono andata a Bologna, ho detto al gruppo di lavoro che avremmo lavorato esclusivamente su fogli bianchi. Il mandato della giornata era quello di inventare una storia che potesse simulare una situazione critica dei servizi oggetto del nostro lavoro. Tale storia ci sarebbe servita la volta successiva per “sistematizzare degli aspetti salienti” (non ben specificati, non ero riuscita a codificare altro). Mi hanno guardato dubbiosi. Si saranno chiesti per quale motivo la loro giovane consulente sembrasse trafelata, come se avesse la febbre, rossa in viso e stranamente vigile. “Già sta ragazza è sempre un po’ strana, cosa avrà mai oggi?” …e intanto io ho continuato a cercare di respirare normalmente. Ho guardato fuori dalla finestra l’albero del cortile, bevuto un po’ d’acqua e intanto … il lavoro quasi magicamente si avvia. La giornata procede, nella pausa pranzo mi invitano ad andare a mangiare un panino con loro, ma io non ci riesco, finirebbe per andarmi di traverso, ne sono sicura. Poi riprendiamo, sempre creando estemporaneamente e attingendo al mio bagaglio di esperienze pregresse, organizzo anche il pomeriggio inventando un Role Playng sempre sulla situazione fiction che stiamo costruendo … e arriviamo alla fine. Qualcuno mi chiede le slide che spiegano quello che abbiamo fatto durante la giornata e io rispondo che le invierò per mail entro qualche giorno. Ce l’ho fatta … sono arrivata alla fine, mi trascino al bar più vicino e trangugio un panino con una coca cola. Incredibile, mamma mia, sono davvero pazza … l’importante è che gli altri non lo sappiano (su questo del resto si basano molte delle nostre convenzioni sociali, sappiano tutti di essere a volti un po’ pazzi, ma siamo convinti che gli altri non lo sappiano, che sia una specie di segreto che appartiene al nostro mondo interiore. Se ci pensate anche questo fa un po’ ridere).
Per concludere: giornata di lavoro andata molto bene, lavoro portato a termine in maniera creativa e originale, partecipanti stupiti e soddisfatti, consulente … morta! KO! Senza voce, sudata e stanchissima. Poi torno in ufficio e non racconto a nessuno quel che ho combinato e poi torno a casa e lo racconto a mia zia che si mette a ridere di gusto, le scendono le lacrime dagli occhi, una chiusura di giornata all’insegna del divertimento, almeno per lei. Ho aspettato che passassero alcuni mesi e poi ho raccontato anche ai miei colleghi questo incubo di vicenda. Si sono divertiti tutti e questa storia è stata registrata negli annali dell’azienda. Quale l’insegnamento? Quando non si può fare altro bisogna liberate la creatività, quella vera che alberga nel nostro io profondo. E’ un ancora di salvezza, l’unica che a volte ci resta.
3 – E poi succede anche che ti trovi a lavorare con un gruppo di super-esperti di un problema di quelli tosti. Quei problemi che si affrontano solo in certi ambiti e che prevedono la messa in campo di molte risorse (anche per spostare le persone che servono per costituire il gruppo di lavoro). Capita che il gruppo sia così “istruito” e “competente” che il lavoro scivoli via come l’acqua, che i risultati siano ottimi nella loro semplicità e linearità, che la competenza maturata da tutti permetta la consapevolezza immediata della bontà di ciò che si è appena fatto. E capita che in un contesto così ci si fermi a cena e si scopra che le persone con cui ha lavorato si sono fermate per salutarti e assicurarsi che te ne tornerai a casa sana, salva e soddisfatta. Capita anche che queste persone siano coì intelligenti da saperti far ridere, ridere sempre di più … in una serata che sa di favola che non ti dimenticherai (mai più).
La valutazione è una cosa seria, le persone che vi lavorano a vario livello possono, come sempre, fare la differenza, per gli altri e per loro stesse. Il tempo è una risorsa limitata. Usiamola “bene” “per il bene” nel senso più completo che possiamo pensare e allora potremo anche sorridere e nessuno penserà che un po’ di spensieratezza possa inficiare la bontà, l’utilità e la rilevanza di ciò che si è appena fatto. Come professionisti, come consulenti, come persone, come donne e uomini percorriamo strade che prima o poi si rincroceranno in un casino di partenze a arrivi che è la metafora del nostro esistere e del nostro lavorare. Come valutatori, in questo caso.