Il tema dei bisogni umani è risolto dalle società avanzate attraverso specifici sistemi di regole e di attività che li definiscono e li riconoscono, attraverso beni e servizi che vengono offerti per soddisfarli ed attraverso un sistema culturale che li riproduce in modo sistematico e sempre nuovo. In tale contesto il bisogno diventa infinito e di fatto mai soddisfacibile completamente. Non a caso dunque le domande ultime che da sempre pongono saggi, pensatori e filosofi restano attuali provando che nell’uomo vi è un esigenza connessa al fatto stesso di possedere una specifica forma di coscienza.
Alla base del sistema consumistico mondiale stanno tre presupposti: il primo è che ogni bisogno possa e deva essere soddisfatto tramite atti di consumo; il secondo è che il consumo sia indispensabile per creare lavoro e sostenere la crescita in assenza della quale il sistema non potrebbe funzionare; il terzo è che l’uomo sia in fondo un pozzo infinito di desideri costantemente impegnato nella ricerca della felicità. In quest’ottica le persone appaiono come soggetti da convincere al consumo e l’intera umanità appare come un infinito contenitore di bisogni da soddisfare, un gigantesco mercato da conquistare. Questa prospettiva che appare credibile ed inattaccabile alla maggioranza delle persone, che sembra confermata dai formidabili flussi migratori che cercano l’accesso a questo sistema, non è però né unica, né naturale. Deriva piuttosto dagli accidenti della storia, degli sviluppi di una cultura, da un’ideologia dominante e da una pianificazione.
Se si esce dal dogma, dal politicamente corretto, e si osserva con occhi diversi e con altri occhiali, se si assegna dignità alle culture altre e alle differenti organizzazioni di vita, la pretesa di trovare la felicità nel consumo e nell’onnipotenza del mercato appare tutt’altro che scontata. Il dramma dell’infelicità e della sofferenza nel bel mezzo dell’abbondanza di beni e servizi materiali mostra come l’essere umano non possa semplicemente essere ridotto ad una sommatoria di bisogni che si risolvono nel consumo. Resta sempre uno spazio dove si insinua il dubbio, dove crescono le domande, dove fin troppo spesso prospera un’insoddisfazione che nessun consumo riesce a placare; si tratta forse di uno spazio dove si gioca la libertà personale, un luogo aperto al lavoro su di sé, all’impegno, allo sviluppo delle potenzialità di auto-creazione e creazione che sono la base di quella qualità personale attraverso la quale si manifesta la felicità.
Ed è proprio l’adempimento di questo compito personale che ha spinto grandi spiriti a ricercare l’incontro diretto con l’altamente significativo, a dedicare la vita alla ricerca della pienezza, a testare vie per saggiare le forme di un’umanità realizzata. Un compito che – come hanno dimostrate le tragedie del 900 – non può essere semplicemente demandato allo stato, al partito, all’ideologia o al mercato. Questa potenzialità di auto-realizzazione si fonda su concetti di autonomia e libertà assai diversi di quelli fatti propri dalla teoria economica dominante fondata sulla riproduzione del bisogno e la massimizzazione razionale dell’utilità. L’una si confronta con la consapevolezza di una totalità di cui si è parte, l’altra con la scelta tra opzioni frammentate che prescindono dal contesto.
Ognuno di noi a suo modo vive questa tensione tra quelli che reputa bisogni (affrontabili consumando prodotti e servizi) e quelle che sente più o meno oscuramente come esigenze incoercibili della condizione umana (che non trovano soddisfazione nel consumo). La sfida è proprio quella di tenere connesse queste due dimensioni riconoscendone l’indipendenza ed evitando di risolvere l’una nell’altra: in un caso si sfocerebbe verso un materialismo irresponsabile, nell’altro verso una metafisica impotente.
Come si collegano in una specifica società o cultura queste due dimensioni? Esiste una società capace di promuovere ad un tempo la piena manifestazione delle esigenze umane e la piena soddisfazione dei bisogni? L’articolo 3 della Costituzione Italiana così recita:
[…] È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Vale la pena confrontare questo proposito nobile con quanto sostenuto 20 anni prima da uno spin doctor ante litteram, Edward Bernays, nel libro Propaganda, uno dei primi pilastri dell’ideologia consumista:
“una manipolazione consapevole e intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse, svolge un ruolo importante in una società democratica”
La relazione tra consumo e felicità viene ribadita anche dal premio Nobel Gary Becker in un famoso articolo pubblicato nel 1965:
“il consumatore, nella misura in cui consuma, è un produttore. E che cosa produce? Produce, molto semplicemente, la propria soddisfazione. Si deve pertanto considerare il consumo come un’attività d’impresa attraverso cui l’individuo, a partire dal capitale di cui dispone, produrrà qualcosa che sarà la propria soddisfazione”.
Ognuno può riflettere e decidere se oggi la realtà sia più vicina a quanto espresso dalla Costituzione Italiana o da quanto proposto dai vecchi teorici del consumismo; decidere se siamo ancora cittadini o siamo diventati quasi esclusivamente consumatori (qui un post di approfondimento); resta il fatto che il progetto consumista è ben lungi dall’essere superato e i suoi presupposti restano una chiave importante per comprendere anche l’attuale economia e la società in cui viviamo. In questa prospettiva la via della felicità passerebbe attraverso la traduzione di ogni esigenza umana in bisogni che possono e devono essere soddisfatti con atti di consumo di beni e di fruizione di servizi che necessitano di uno scambio economico monetario quantificabile e misurabile.
Preoccupa molti l’interiorizzazione di questa cultura e di questo codice che dissolve e riduce la soggettività nelle regole costruite da un sistema economico diventato assolutamente pervasivo. Questa mercificazione diventa inquietante quando si pone come la soluzione al problema umano ovvero quando si pretende attraverso il consumo di soddisfare ogni tipo di aspirazione umana; soprattutto quando le persone hanno introiettato questo modello a riferimento esclusivo della propria vita.
Tuttavia, proprio la persona può diventare consapevole di questa manipolazione e recuperare quegli spazi di azione e percezione personale su cui lavorare per dare speranza al futuro. E’ sufficiente calare l’importanza personale, riconoscere il condizionamento sociale come dato di fatto ed accettare pienamente l’esistenza di quelle esigenze profonde di senso e significato che superano il bisogno socialmente costruito e che agli occhi di molti sembrano rappresentare l’unicità dell’essere umano. Per alcuni esse si traducono nella ricerca spirituale, per altri nella esplorazione della dimensione religiosa, per altri ancora nel recupero dell’esperienza mistica. Ciò che le accomuna è la ricerca di un rapporto diretto con l’altamente significativo, di una connessione non mediata con la totalità di cui siamo parte; la ricerca di una dimensione di autenticità che sembrava definitivamente compromessa, la riscoperta della potenza e della bellezza dell’uomo interiore, il ridimensionamento dell’atteggiamento riduttivo associato ad un osservatore razionale esterno e distaccato dal mondo diventato ormai insostenibile.
In un mondo di abbondanza di beni materiali e servizi, dominato da un impetuoso sviluppo tecnologico sostenuto da una scienza che mostra connessioni e reti di relazioni tra ogni cosa, l’esplorazione interiore sembra diventare sempre più importante. Una consapevolezza quanto mai necessaria per affrontare i problemi generati da un secolo di preteso dominio sulla natura e di sistematico condizionamento delle menti finalizzato a promuovere consumi sempre più grandi ed insostenibili.
Ecco dunque la sfida che ognuno può raccogliere: riscoprire le esigenze profonde, prendere pieno possesso della condizione umana che ci è propria, riconoscere i buoni frutti e i condizionamenti della società in cui viviamo ed usare questa nuova consapevolezza per ricostruire un nuovo approccio ed una nuova visione capaci di dare speranza al futuro.
Si può fare!
Passaparola.