Lunghi anni di emergenza immigrazione mostrano con sempre più chiarezza che non di emergenza si tratta ma di questione strutturale, legata innanzitutto ad evidenti quanto esplosivi fattori demografici e geopolitici. A fronte di questa evidenza viene messo in discussione anche il senso della cooperazione internazionale allo sviluppo e dei risultati che essa avrebbe potuto o dovuto raggiungere in tutti quei paesi dai quali provengono le folle dei migranti. Uno sguardo dall’interno insieme ad Umberto Carrescia presidente della ONLUS Circle di Merano ci aiuta a mettere ordine in questa complessità.
1. L’APPROCCIO DELLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
E’ molto difficile affrontare in un post il tema della Cooperazione allo sviluppo, in quanto la storia che l’ha caratterizzata, le modalità con cui si è tentato di realizzarla e gli attori implicati sono tanti, mutevoli e complessi.
La cooperazione allo sviluppo “governativa” nasce dopo il secondo conflitto mondiale con le prime Conferenze delle Nazioni Unite (ad es: Bandung 1955. Link: http://it.wikipedia.org/wiki/Conferenza_di_Bandung). Dalla fine del XX secolo viene affiancata e sostenuta grazie a un forte sistema di valori, da quella non governativa, legittima rappresentanza della società civile. La cooperazione governativa si occupa del trasferimento di risorse finanziarie, assistenza tecnica, servizi e beni da un governo o da un organo pubblico di un Paese sviluppato a favore di un Paese in via di sviluppo (PVS), mentre la cooperazione non governativa è maggiormente slegata da interessi politico-economici particolari e rappresenta il canale privilegiato delle istanze provenienti dalla società civile. Recentemente nuovi soggetti associativi hanno configurato una forma di cooperazione detta decentrata, che si basa sul contatto diretto tra due comunità con obiettivi comuni, e che quindi collabora con la tradizionale forma di cooperazione.
In Italia, la Cooperazione allo Sviluppo governativa è parte integrante della politica estera ed è gestita dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri. Nel definire iniziative e Paesi in cui intervenire, la Cooperazione italiana tiene conto di linee guida e impegni concordati nel più ampio contesto internazionale (ONU, UE). Per quanto riguarda la cooperazione non governativa, oggi sono 250 le ONG riconosciute che lavorano in questo settore, e complessivamente le organizzazioni che si occupano di cooperazione e solidarietà superano le 1400 unità (dato del Ministero degli affari esteri). Le ONG si basano prevalentemente su finanziamenti pubblici, mentre il 90% delle restanti organizzazioni agiscono con volontari e forme di autofinanziamento.
2 – CIRCLE ONLUS
Circle è una ONLUS con sede a Merano nata con decreto della Provincia di Bolzano nell’agosto 2013. E’ una associazione di volontariato e come tale può accedere ai fondi dedicati esclusivamente a questa tipologia di organizzazioni. Ha 32 soci, un bilancio in attivo e diverse progettualità in cantiere. I fondi raccolti sono destinati alla costruzione di scuole in Kenya e ad altre attività ritenute necessarie (questo d’accordo con il partner locale che può essere una ONG, ma anche congregazioni di missionari quali Gesuiti e Comboniani). In modo particolare Circle lavora con un missionario del Kamerun che opera in Kenya per la società missionaria di San Giuseppe di Mill Hill (società inglese).
Combinando l’esperienza fatta da CIRCLE, le conoscenza esperienziali pregresse e le nostre competenze di ricercatori sociali, possiamo dire che in questo contesto operativo la Deontologia professionale ha un ruolo fondamentale e detta la retta via di questi interventi. La mancanza di una deontologia umana e professionale crea distorsioni terribili che sono sotto gli occhi di tutti.
3 – LA DEONTOLOGIA PROFESSIONALE (E UMANA)
Alcuni principi chiave che dettano il circuito entro il quale una deontologia professionale forte e basilare non può non riconoscersi sono i seguenti:
i) Il rispetto delle risorse locali.
I progetti di Cooperazione allo sviluppo hanno una loro validità quando sostengono iniziative locali e hanno una loro prevedibile realizzazione grazie alle stesse. “E’ sbagliato mandare dei banchi scolastici se ci sono falegnami in loco che sono in grado di costruirli, così come non ha senso inviare presidi medici se non ci sono risorse in loco che li sanno far funzionare.”
ii) La lotta ai sistemi adottati dalle multinazionali.
E’ esiziale la distinzione tra la CAS (cooperazione allo sviluppo) e lo sfruttamento del suolo da parte delle multinazionali. “L’introduzione della monocultura nei paesi del sud del mondo ha fatto disastri. Ci sono state azioni speculative da parte di Olding commerciali che non hanno avuto alcun occhio di riguardo alle esigenze dei paesi in via di sviluppo. Queste multinazionali acquistano grandi terreni per la monocultura che distrugge il territorio. Inoltre speculano sul lavoro minorile. Acquistano mano d’opera ad un costo molto inferiore di quello che troverebbero a casa loro. Poi in alcuni territori le risorse sono talmente preziose che il primo che arriva – ben alloggia –*”.
iii) La sostenibilità del progetto con le risorse locali.
Il progetto deve nascere da una analisi dei bisogni fatto in collaborazione tra l’Associazione che opera in Italia (in questo caso) e il partner locale che opera sul territorio. Ma poi la progettualità “deve camminare con le proprie gambe”, fatta funzionare dalle risorse locali: o già competenti o rese tali in fase di realizzazione del progetto.
La relazione con le risorse locali può porre la CAS di fronte a una problematicità importante: fino a che punto posso provare a cambiare delle “tradizioni locali” e dove invece le devo rispettarle e accettare per quello che sono?. “A volte è necessario condividere con i Paesi di destinazione un processo di emancipazione. Soprattutto nelle zone rurali dove ci sono tribù che hanno radici ancestrali, si trovano tradizioni e pratiche non condivisibili. Ad esempio l’infibulazione. Tutta la fascia del Sael ha questo grandissimo problema: la popolazione vive questa pratica come tradizionale e assolutamente inevitabile*”
iv) La condivisione degli obiettivi con i partner
“ E’ importante trovare partner locali competenti, in grado di fare una analisi esaustiva del luogo in cui si va ad intervenire*”. I soci di Circle fanno spesso sopraluoghi nelle zone dove operano. Uno degli obiettivi di questi spostamenti è l’incontro con i partner locali al fine di condividere con loro gli obiettivi da perseguire sul territorio e le modalità migliori attraverso le quali tali obiettivi si possono tradursi nell’operatività. Se la partnership che si costruisce è “buona” non ha nulla di diverso da quelle che si fa in Europa tra Enti pubblici e privati, su progetti di vario tipo.
v) La testimonianza nel paese d’origine.
Ci sembra importante che le organizzazioni che si occupano di CAS non solo lavorino sul territorio destinatario dell’intervento ma svolgano azioni di sensibilizzazione sul territorio di ubicazione (se torniamo a CIRCLE ci riferiamo all’Alto Adige e, più in generale, a tutta l’Italia). In Provincia di Bolzano esiste un fondo speciale per il volontariato piuttosto che gli uffici Affari di gabinetto, che sono istituiti proprio per questo genere di iniziative. Tipicamente sponsorizzano campagne nelle scuole, campagne pubblicitarie, la devoluzione del “cinque per mille” a favore di organizzazioni che operano in questo campo.
vi) L’etica personale
“E’ vero che vanno aiutate anche le popolazioni locali. Vale sempre il detto cattolico (ma anche di altre importanti religioni) – Siamo tutti uguali agli occhi di Dio –”
Chi lavora in questo ambito è mosso da principi quali l’eguaglianza tra i popoli, la cittadinanza del mondo ed il rispetto di tutte le culture. Chi ha lo spirito giusto è orientato alla collaborazione sia con chi “ha bisogno” nella sua nazione, sia all’estero. Non distingue fra queste due cose.
Il fenomeno razziale si presta a facili strumentalizzazioni. Ma “i confini e i colori della pelle non significano niente. I colori della pelle sono dettati da madre natura. I confini sono confini tirati con il righello da colonizzatori che mai hanno visitato i paesi che hanno colonizzato. Ad esempio il Congo. Pur colonizzando un grosso paese dell’Africa centrale a cavallo tra l’ottocento e il novecento, mai il principe Filippo andò in Congo*”.
E’ quindi necessario quello spirito umanitario che permette di pensare che le persone son tutte uguali e tutte delle grandi risorse. Con i loro valori e le lo potenzialità. Sicuramente non si può strumentalizzare il fenomeno migratorio, riempirsi la bocca di slogan populistici, se non razzisti e poi pensare di andare a fare Cooperazione allo sviluppo.
Chiudiamo questa prima parte con il famoso teorema di Thomas: “Se gli uomini definiscono reale una situazione, le conseguenze di quella situazione sono reali.”
La tensione è quindi quella ad un’etica comportamentale che permette di abbattere i confini, vedere l’altro come risorsa e agire di conseguenza dopo un’attenta analisi dei suoi bisogni. Questo è la tensione di chi si occupa di CAS. Se non esiste tale modus vivendi l’azione volontaria all’interno della CAS viene messa in dubbio. Non può e non deve esistere una scissione tra comportamento quotidiano nel paese di origine e azioni di volontariato volte a facilitare, nel senso più puro del termine, la cooperazione allo sviluppo.
*Le parti in corsivo sono frasi di Umberto Carrescia trascritte esattamente come sono state dette.
Segue…