Per alcuni la riflessione etica blocca l’azione e viene vista con grande sospetto. Non è così, neppure per la valutazione: il fatto è che i dilemmi etici bisogna innanzitutto riconoscerli e poi affrontarli agendo con rapida sollecitudine.
Non diversamente dall’uomo qualunque, chi si occupa di valutazione è membro della società e condivide una serie di percezioni su cosa costituisca un comportamento accettabile. Non diversamente da altri professionisti è un membro di una comunità che ne orienta giudizi e comportamenti in base ad una deontologia. Come succede a molti specialisti chi valuta può, in base a preferenze soggettive e personali, usare approcci differenti, privilegiare certi tipi di metodi e tecniche, riconoscersi in una scuola piuttosto che in un’altra. Il bravo valutatore può interpretare la propria missione sentendosi di volta in volta un testimone, un ricercatore, un consulente, un facilitatore, un educatore che usa specifiche risorse cognitive, culturali, relazionali, tecniche e metodologiche per costruire un particolare tipo di conoscenza e condividerla. Poiché agisce sempre in contesti complessi, caratterizzati da valori diversificati ed interessi contrapposti, egli può essere coinvolto con una certa frequenza in decisioni che comportano un qualche tipo di dilemma etico.
i) In tale situazione la sensibilità personale gioca un ruolo fondamentale: il riconoscimento di un problema etico non è infatti un processo interamente logico e razionale; esso scaturisce piuttosto dalla capacità di cogliere “qualcosa che non quadra”, qualcosa che turba da un punto di vista emotivo, che cozza con qualche principio soggettivamente ritenuto importante.
ii) Il valutatore che abbia riconosciuto un dilemma etico ha la possibilità e il dovere di prendere in considerazione le regole e i codici messi a punto per orientare i comportamenti dei professionisti che si riconoscono in uno specifico contesto; l’Associazione Italiana di Valutazione propone, ad esempio, un proprio codice deontologico che rappresenta un ben ponderato compromesso tra esigenza di rigore, necessità pratiche e specificità culturale italiana.
iii) Solitamente, il rispetto di tale codice condiviso consente di minimizzare i rischi di comportamenti scorretti e comporta vantaggi sia per il singolo che per la “categoria”; per sua natura però non consente di risolvere ogni tipo di problema che possa scaturire dalla riflessione sui fini e sui valori piuttosto che dalla interazione di sistemi di regole diversificate. In questi casi diventa necessario il riferimento a principi e teorie etiche generali che portano la riflessione ad un livello specialistico difficilmente sostenibile dal profano.
iv) Proprio per questo e assai di frequente, la risoluzione del dilemma etico rimanda ai valori organizzativi (per chi lavoro all’interno di un’organizzazione) e, soprattutto, ai valori personali; in particolare alle credenze profonde sulla natura umana, alla propria visione del mondo, all’idea di persona che si ha di sé, alla percezione della propria missione e alle aspettative circa quello che si vuole essere. Questo spostamento dalla qualità dell’efficienza alla qualità dell’eccellenza implica la cura di quelle virtù, quali coraggio, giustizia, temperanza, saggezza, benevolenza (ognuno, ovviamente, può avere la propria lista) che fanno dell’individuo una persona capace di perseguire il proprio fine personale, il proprio telos.
v) Per fortuna il valutatore non agisce nel vuoto pneumatico, in un isolamento astratto: la valutazione è un’attività pratica che coinvolge molte persone in contesti di vita quotidiana assolutamente concreti. Se essa è un agire (piuttosto che un dire), allora il modo attraverso cui si confronta con i dilemmi etici è azione (piuttosto che mera speculazione); lo scambio e la conversazione tra colleghi, l’analisi partecipata del caso che si presenta come dilemma morale, l’esplicitazione dei ragionamenti che portano ad una scelta piuttosto che ad un’altra sono potenti meccanismi di apprendimento capaci di generare quella sensibilità e quella competenza che sono indispensabili per sostenere decisioni etiche in ogni processo di valutazione.
Si tratta di scelte che vanno prese dopo aver considerato le alternative disponibili e averne ponderato i rischi e le conseguenze per il committente, per tutti gli stkeholders e per il valutatore stesso: che carico emotivo e che stress comportano? Che ricaduta possono avere tali scelte sulla reputazione del valutatore? Che conseguenze sulla legittimazione della pratica della valutazione in quel dato contesto? Che impatto organizzativo o culturale possono avere? Come possono contribuire al rafforzamento della propria percezione di integrità e di correttezza professionale? Che meccanismi di apprendimento possono sostenere o al contrario deprimere? Sarebbero condivisibili dalla comunità dei valutatori o da quanti si occupano di etica?
2 Responses to “Come prendere decisioni etiche nei processi di valutazione: 5 suggerimenti e qualche domanda”
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La questione dei principi etici mi pare molto complessa: ho tentato da profano di dire qualcosa qui https://www.valut-azione.net/blog/5-criteri-per-realizzare-progetti-di-valore-e-alcuni-stimoli-per-la-valutazione/, qui https://www.valut-azione.net/blog/15-suggerimenti-ragionevoli-per-umanizzare-il-processo-di-valutazione/ e qui https://www.valut-azione.net/blog/divagazioni-tra-valutazione-ed-etica-essere-dalla-parte-della-ragione-usando-le-virtu/. Rispondo alla domanda: penso che il rapporto nasca ed evolva in funzione della capacità di individuare prima e discutere poi dilemmi etici che siano di interesse comune.
Agire secondo dei principi etici è indispensabile. Ma quali principi etici?
1) Prima possibilità: uno usa i suoi che vengono dalla sua storia, dalla sua esperienza e dalla sua morale.
2) Seconda possibilità: adotta un codice etico perchè riconosciuto come idoneo dalla comunità a cui appartiene.
Questo è il problema dei codici etici/deontologici: “passano” solo attraverso la creazione di un “senso di comunità” che fa sentire i professionisti accomunati da una appartenza accettabile.
Quindi, domanda: come nasce ed evolve il rapporto tra “etica” e “senso di comunità”?
Catina Balotta