La società in cui viviamo sembra avere una strana qualità: spinge verso l’omologazione e contemporaneamente verso la personalizzazione di massa; recupera e rilancia antichi saperi celebrando l’esigenza di nove conoscenze; esalta il lavoro e contemporaneamente lo distrugge; crea ambienti artificiali e fa emergere opposte tendenze naturiste ed ecologiche.
A quanti accettano questa complessità e non si rassegnano a guardare il mondo da un unico punto di vista, a tutti quelli che pensano che la scoperta di sé e della propria interiorità sia un impresa altrettanto vasta dell’esplorazione del mondo li “fuori” , la vita appare decisamente interessante e imprevedibile, sconcertante forse. Certamente mai monotona come potrebbe sembrare a quelli che si identificano in un ruolo preciso e osservano il mondo da una posizione fissa come se non vi appartenessero.
Miliardi di persone sono state e sono, loro malgrado, testimoni di un cambiamento drammatico ed epocale che ha drasticamente modificato l’ambiente di vita nel quale vivevano e vivono: si tratta di uno shock culturale e sociale le cui reali dimensioni sfuggono ad ogni catalogazione e i cui impatti ricadono in varia misura e spesso in modo imprevedibile, nella vita quotidiana delle persone, nei loco atteggiamenti e comportamenti, negli ordinamenti delle società, negli assetti geopolitici ed istituzionali.
Anche in Italia questo processo è ben visibile a quanti hanno ventura di fermarsi un poco per osservare puntualmente i cambiamenti intercorsi nella loro vita. Gli oltre16.000 centenari e molti dei 3,6 milioni di cittadini che hanno superato gli 80 anni di età ne sono stati indubbi protagonisti e ne sono testimoni diretti; molti di essi sono nati in un mondo rurale e comunitario ancora quasi pre-tecnologico, hanno vissuto i fasti della civiltà industriale materialista ed assistono ora al suo dissolversi in un mondo dominato dalla tecno-scienza e dall’informazione. Questi passaggi si colgono esemplarmente studiando oggi i lavori antropologici di un De Martino (Sud e magia), leggendo i racconti di Cesare Pavese (La luna e i falò) o meditando sulle etnografie metropolitane di un Danilo Montaldi (Le autobiografie della leggera); si vedono nei cambiamenti dei modi di intendere il lavoro e il successo, nel modo di intendere la salute e il benessere, nelle differenze sostanziali che separano culturalmente una generazione dall’altra. Ma soprattutto si manifestano, drammaticamente, osservando le modifiche del paesaggio documentate dal cinema e dalla fotografia ed osservando sul territorio le tracce visibili della stratificazione urbanistica, dell’abbandono della terra, della morte dei piccoli paesi, della cementificazione e del disastro ambientale incombente. Si colgono infine nel prepotente cambiamento della composizione etnica e razziale della popolazione italiana.
Ampliando un poco la prospettiva temporale e geografica rispetto al caso italiano, possiamo intravvedere una linea di trasformazione generale dell’ambiente di vita: essa origina da un contesto naturale percepito come vivo, che costringeva gli umani a seguire i ritmi della natura; si evolve con l’avvento della società moderna in un ambiente percepito come scenario inanimato popolato di oggetti e di risorse sfruttabili illimitatamente; si conclude oggi con la visione di un nuovo contesto di vita tecnologico, artificiale ed intelligente.
Max Weber aveva puntualmente descritto il primo passaggio nei termini di un disincantamento che, aumentando enormemente il controllo sul mondo materiale, non poteva però risolvere gli interrogativi di senso contribuendo semmai a renderli ancora più drammatici. Il secondo passaggio caratterizzato dal prevalere del virtuale (artificiale) sul “reale”, dalla centratura sui bit (informazione) anziché sugli atomi (materia), dalla diffusione di macchine intelligenti (in forme cha vanno dalle nanotecnologie alle megastrutture) apre davanti a noi uno scenario sconosciuto, dove paradossalmente, ritrovano spazio proprio quelle pratiche, quei miti e quelle credenze che la modernità dichiarava di avere superato in quanto segni evidenti di arretratezza, superstizione ed irrazionalità.
Storici, archeologi, antropologi ed etnografi hanno studiato a lungo antiche civiltà e culture sopravvissute all’impatto della modernizzazione, confermando l’esistenza di organizzazioni concettuali del mondo altre rispetto al modello dominante. I segni di queste ancora si colgono nei pochi gruppi tribali sopravvissuti o in comunità isolate. Queste comunità antecedenti all’affermarsi della modernità o escluse dai processi da questa determinati, vivevano in sintonia con la natura, in un ambiente tecnologicamente elementare (miserrimo secondo i nostri standard) ma ancora carico di senso, pieno di miti e di storie, popolato di spiriti, pieno di luoghi sacri, caratterizzato da riti e cerimonie. Un ambiente insomma cha appare alle persone che lo popolano significativo e coerente per quanto povero ed essenziale. Questa capacità di integrazione in una natura complessa, parlante e significante, basata su un sapere pratico e diffuso particolarmente attento al versante metafisico, orientata ad un approccio che appare come pienamente ecologico, rappresenta oggi un’eredità che molti ritengono assai interessante, un dono che quelle genti disperse sulla terra e nel profondo della storia hanno lasciato alle successive generazioni.
Sociologi e filosofi hanno studiato a fondo la società industriale fornendone interpretazioni che in molti casi restano quanto mai attuali e profetiche; figlia della modernità e dell’approccio scientifico materialista, essa rappresenta il contesto all’interno della quale buona parte della popolazione occidentale è nata ed ha vissuto; la società industriale ha imposto al mondo una visione razionalista, caratterizzata da dispositivi istituzionali basati su una articolata divisione del lavoro: essa si è sviluppata all’interno di uno scenario inanimato, finalizzato al dominio della natura ed ha finito col creare una distanza abissale tra l’uomo e il suo ambiente, che non a caso è stato distrutto e violentato. Promuovendo un dominio sulla natura senza precedenti, ha finito per trasformare anche le persone in cose all’interno dei meccanismi impersonali del mercato e della burocrazia. I diritti, il lavoro, la conoscenza, il welfare, l’idea di progresso, la potenza del pensiero scientifico , l’industrializzazione e l’automazione, sono alcuni dei frutti che questa società ha lasciato in eredità a quel futuro che oggi stiamo già vivendo.
La società digitale nella quale viviamo oggi rappresenta ad un tempo una naturale prosecuzione ed un cambio radicale rispetto alla società industriale: da un lato essa si regge infatti sugli assunti di meccanizzazione ed automazione da quella prodotti ma dall’altro consente di applicare procedure tecnologiche ad ogni campo del dominio naturale, su una scala cha va dal corpo degli uomini ad intere porzioni di ecosistema. E’ infatti l’attività cognitiva dell’uomo che può essere meccanizzata ed automatizzata su vita scala consentendo straordinari progressi nella conoscenza ed una sostituzione sistematica del lavoro umano in ambiti che si pensavano impossibili. Sono i funzionamenti stessi della vita che vengono replicati e reinventati attraverso le nanotecnologie biologiche. E’ l’ambiente infrastrutturato e sensorizzato che diventa intelligente secondo uno sviluppo che mette in discussione buona parte degli assiomi della civiltà industriale; sono le informazioni raccolte automaticamente da questi apparati così vaste ed approfondite da poter far fare un enorme salto di qualità a tutte le attività di ricerca scientifica; esse di fatto sostituiscono e potenziano enormemente le attività di ricerchi tutte le discipline scientifiche, in particolare nel campo sociale, sanitario ed ingegneristico. Sempre più spesso, potenti algoritmi di calcolo sostituiscono i ricercatori, gli impiegati, le attività di vendita e di servizio, il sapere degli esperti.
Questi cambiamenti esaltano alcuni e spaventano altri nella misura in cui vengono osservati in modo indipendente dall’ambiente sociale e naturale entro cui si realizzano piuttosto che in relazione ad esso.
Esiste infatti il rischio fondato che la tecnologia diventi un sistema onnipotente, una mega macchina che funziona e cresce fine a se stessa incorporando, per così dire, gli esseri umani.
Il vero fine di questo sistema sembra essere innanzitutto quello di replicare e sviluppare se stesso a prescindere dagli effetti che esso causa sull’ambiente, la società e le persone. mentre da più parti è stata dichiarata la fine della modernità, il principio chiave della modernità stessa – crescita e progresso illimitato – è portato alla sua massima potenza.
Questi passaggi che si intersecano e si sovrappongono hanno comportato radicali trasformazioni a livello sociale e antropologico, investendo la struttura profonda delle persone coinvolte. L’evoluzione ci porta oggi a vivere in un ambiente tecnogeno (ovvero strutturato dalla tecnologia e dai processi apparentemente razionali che essa comporta) in costante sviluppo, popolato di macchine sempre più intelligenti e da una quantità mai vista di persone che vivono sospese tra le pressioni dell’omologazione consumista e le esigenze di costruire identità private e collettive capaci di dare senso alla vita. Qui, insieme e attraverso le tecnologie più avveniristiche prosperano nuovi e vecchi elementi dell’immaginario irrazionale: sono ben presenti oggi, nel culto popolare delle reliquie, nel demi-monde di maghi e fattucchiere, nei movimenti new-age, neo-pagani, esoterici e fondamentalisti, nel ritorno dello sciamanismo come tecnica spirituale e di guarigione, nelle sette religiose; più seriamente nello studio e nella ricerca di esperienze religiose autentiche, capaci di dare un fondamento alla vita. La tribù sta tornando di moda insieme al tentativo di recuperare antiche saggezze, rendendole aggiornate ed utilizzabili con il sostegno delle tecnologie digitali; paradossalmente, i progressi della scienza, attraverso cui certuni pensavano di dissipare le illusioni di epoche passate, hanno contribuito a ravvivare su vasta scala il ricorso a quei mezzi magici di azione sul mondo che erano propri di uomini e di culture che non si esita a definire arretrate ed ignoranti.
E’ un’ambiente dove coesistono livelli diversi, dove riemergono culture tribali, dove perdurano ideologie industriali, ma dove perfino le regole di sopravvivenza e di successo sono mutate, non si sono ancora consolidate e stanno cambiando vorticosamente. In questo ambiente bisogna imparare e re-imparare a vivere, bisogna creare nuovi modi di stare con gli altri e di costruire socialità, soprattutto, bisogna apprendere nuovi modi di stare in pace con sé stessi ri-centrando la propria interiorità rispetto ad un mondo in costante cambiamento. Se è così non dovrebbe più esserci spazio per un idea di uomo ridotto a mero consumatore, attore razionale che persegue egoisticamente i propri interessi e la cui cifra umana si esprime attraverso il ricorso alla rappresentazione basata sull’emotivismo del caso pietoso: piuttosto serve un idea nuova che metta in risalto gli aspetti di collaborazione, empatia, reciprocità, creatività ed innovazione.
Trovare una nuova armonia, una nuova unità, una consapevolezza capace di inglobare e connettere il mondo interiore e l’ambiente naturale e tecnologico che sta li fuori ma di cui siamo parte: è questa la sfida del presente e del prossimo futuro.
Si può e si deve fare. Passaparola!